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In una gravidanza fisiologica il parto avviene tra la 37ª e la 42ª settimana di gestazione, quando il feto è ormai completamente sviluppato ed è pronto ad adattarsi alla vita extrauterina. Quando il parto avviene prima della 37ª settimana di gestazione, il neonato viene considerato prematuro.
Dall’età gestazionale dipende lo stato di sviluppo di molti organi: per questo motivo, tra i problemi più gravi che possono interessare il bambino prematuro vi sono quelli legati alla funzionalità dei polmoni. A seconda dell'epoca in cui avviene il parto, i polmoni possono essere parzialmente o totalmente immaturi, e quindi incapaci di garantire una funzionalità respiratoria adatta.
Da quasi 30 anni, Chiesi è fortemente impegnata in Neonatologia. Lavorando fianco a fianco con la comunità scientifica neonatale e investendo in Ricerca e Sviluppo, Chiesi si pone ogni giorno l’obiettivo di offrire trattamenti innovativi ed efficaci per i neonati prematuri. Grazie a questo costante impegno e incoraggiando la diffusione e il miglioramento delle pratiche cliniche, Chiesi è divenuta un importante partner a livello globale, ed è oggi presente in quasi 100 paesi con i suoi prodotti salvavita per i neonati prematuri.
Uno sviluppo incompleto dell’apparato respiratorio e delle aree del cervello che controllano la respirazione è una condizione comune nei neonati prematuri, soprattutto per quelli che alla nascita mostrano un peso inferiore al chilogrammo. L’immaturità del sistema nervoso centrale si traduce in varie problematiche, tra cui la tendenza al manifestarsi di episodi di apnea spontanea, definita generalmente come una pausa tra due respiri superiore ai 20 secondi. Clinicamente, questa interruzione può accompagnarsi ad un rallentamento del battito cardiaco, o ad una diminuzione della quantità di ossigeno nel sangue. Visivamente, un bambino apnoico può assumere un colorito pallido o bluastro, e si può riscontrare una sensibile riduzione del tono muscolare. Minore è l’età gestazionale e maggiore è il rischio del verificarsi di apnee, che generalmente iniziano a manifestarsi tra i 2 ed i 3 giorni dopo la nascita.
Gli episodi di apnea più leggeri possono essere risolti con una stimolazione tattile del neonato, mentre nei casi più severi si rende necessario un approccio di tipo farmacologico con stimolanti, come ad esempio la caffeina.
La adenosina è un neurotrasmettitore che fisiologicamente riduce l’attività di alcune parti del cervello, compresa quella che controlla la respirazione. In tale contesto, la caffeina si oppone alla azione della adenosina attraverso l’impedimento del legame della adenosina ai suoi siti recettoriali, risultando così in una stimolazione del cervello a riattivare la respirazione.
La sindrome da distress respiratorio, (o RDS, dall’acronimo in inglese) è una condizione che si verifica nei neonati prematuri. Quando ci si riferisce all’RDS, più che ad una singola malattia si parla di un quadro di sintomi legati al non completo sviluppo dell’apparato bronco-polmonare. L’RDS si presenta come una insufficienza respiratoria le cui gravità ed incidenza sono direttamente correlate al grado di prematurità, essendo infatti l’RDS più frequente e più severa nei bambini nati prima della 28ª settimana di gestazione.
La causa di questa insufficienza respiratoria è la carenza di surfattante polmonare. Questa sostanza tensioattiva riveste come una sottilissima pellicola la superficie interna degli alveoli polmonari, consentendo ai polmoni di espandersi con facilità ed evitandone il collasso durante le fasi espiratorie (atelettasia). La carenza di surfattante causa difficoltà respiratorie che risultano in una scarsa ossigenazione, un aumentato sforzo respiratorio e la necessità di un supporto alla respirazione.
Tipicamente, un neonato pretermine presenta un pool molto limitato di surfattante nei polmoni, che decresce ulteriormente anche a causa della stessa RDS. Quando necessario, la somministrazione di un surfattante esogeno viene utilizzata per compensare questo deficit.
La fibrosi cistica è una malattia genetica ereditaria. A causa di una mutazione genica si ha l’alterazione di una proteina chiamata CFTR, presente in tutti gli organi, che regola gli scambi di sodio, cloro e acqua attraverso le membrane cellulari. Gli organi più colpiti dalla malattia sono i polmoni ed il pancreas; nei primi si osserva la presenza di secrezioni dense e viscose, che contribuiscono a creare un ambiente ideale per batteri, come lo Pseudomonas aeruginosa, predisponendo il paziente ad infezioni ed infiammazioni ricorrenti, che a loro volta possono essere anche di grave entità, come la polmonite.
La cronicizzazione di questi processi infiammatori può nel tempo danneggiare il tessuto polmonare ed indurre conseguentemente ad una insufficienza respiratoria che e’la principale causa di mortalita’in questi pazienti. I sintomi dell'infezione sono molteplici e variano di intensità da caso a caso e da momento a momento: tosse insistente, difficoltà respiratoria, espettorazione, ridotta resistenza alla fatica, inappetenza, malessere e febbre.
Si parla di insufficienza d’organo quando questo non è più in grado di assolvere alle sue funzioni, con un potenziale rischio per la qualità della vita e la sopravvivenza del paziente.
I reni svolgono numerose funzioni fisiologiche, dal filtrare il sangue eliminando i prodotti di scarto, fino al preservare il bilancio elettrolitico e regolare la produzione di globuli rossi tramite la sintesi dell’ormone eritropoietina. Il grado di compromissione della funzionalità renale viene solitamente misurato tramite analisi di laboratorio, che permettono di valutare l’entità della severità dell’insufficienza. Quest’ultima varia da lieve (grado 1-2) a terminale (grado 5). In questo ultimo caso, le strategie terapeutiche possibili sono la dialisi o il trapianto. La prima rappresenta un trattamento palliativo che sostituisce le funzioni del rene tramite una macchina, ma che costringe nella maggior parte dei casi il paziente a lunghe e fastidiose sessioni ambulatoriali. Nella seconda alternativa, ai reni non più funzionanti ne viene aggiunto uno addizionale per via chirurgica, con lo scopo di sopperire alla funzionalità persa.
Ancora più delicata è la situazione in caso di pazienti con insufficienza epatica. Il fegato, infatti, svolge numerose funzioni metaboliche assolutamente fondamentali per la sopravvivenza e, allo stato attuale, non esiste una terapia sostitutiva corrispondente alla dialisi per i pazienti con insufficienza epatica. In caso di trapianto epatico, a differenza del trapianto renale, il fegato originale non più funzionante viene espiantato e sostituito da un nuovo organo.
La disponibilità degli organi da trapiantare, molto inferiore rispetto alla richiesta, e la compatibilità biologica ed immunologica tra organo e ricevente rappresentano due importanti fattori limitanti per un trapianto. Fisiologicamente infatti, il sistema immune si occupa di proteggere un organismo da potenziali patogeni esterni, riconoscendo ciò che gli appartiene ( self ) da ciò che gli è estraneo (non-self ). Nonostante questo meccanismo sia fondamentale nel difendere un individuo sano, in un paziente trapiantato che riceve un organo da un donatore (e quindi, non-self ), il sistema immune finisce col riconoscere e quindi attaccare l’organo trapiantato (rigetto). Lo standard terapeutico attualmente in uso per la prevenzione del rigetto d’organo è rappresentato da una combinazione di farmaci immunosoppressivi, con lo scopo ideale di deprimere il sistema immune tanto da non attaccare l’organo trapiantato, ma non tanto da esporre l’individuo ad un aumentato rischio di infezioni opportunistiche. Questa terapia viene somministrata per tutta la vita dell’organo trapiantato che nel caso del rene è intorno ai 10 anni, mentre è leggermente inferiore in caso di trapianto di fegato.
Lo standard terapeutico attualmente in uso è una tripla combinazione, di cui il tacrolimus costituisce il pilastro principale.
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) comprendono due tipi di patologie: la colite ulcerosa e la malattia di Crohn. La causa dell’infiammazione cronica dell’intestino è tuttora sconosciuta, ma, tra le ipotesi formulate, la più accreditata è quella di una reazione anomala nei meccanismi di regolazione del sistema immunitario. Nelle riacutizzazioni della malattia possono avere un ruolo importante anche alcuni batteri e virus. Le patologie intestinali croniche hanno un certo grado di familiarità, ma non sono malattie ereditarie.
La colite ulcerosa è una malattia infiammatoria cronica che interessa la superficie interna dell’intestino, colpisce essenzialmente il retto, ma può estendersi anche in parte o totalmente al colon. Alcuni aspetti clinici di questa patologia possono essere riscontrati anche nella malattia di Crohn, che, a differenza della colite ulcerosa, interessa tutto il tratto gastro-enterico.
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica di origine autoimmune, ovvero scatenata da una anomala reazione del sistema immunitario, che colpisce le articolazioni del corpo. Si manifesta più frequentemente nelle donne e mediamente insorge tra i 40 e i 60 anni di età, con una sintomatologia improvvisa che va aggravandosi progressivamente fino a produrre vere e proprie deformità ossee. Le articolazioni colpite sono inizialmente quelle delle estremità, le piccole articolazioni delle mani e dei piedi che si infiammano provocando rigidità, dolori, tumefazioni e, col tempo, anche calcificazioni che compromettono irrimediabilmente la funzionalità degli arti. Attraverso un trattamento appropriato della riduzione del dolore è comunque possibile mantenere una buona qualità di vita.
La spondilite anchilosante è una patologia reumatica invalidante, che colpisce la colonna vertebrale ed il sistema muscolo scheletrico in genere. È una malattia sistemica, cronica ed autoimmune che, nei casi più gravi, provoca una vera e propria fusione delle articolazioni. Dopo l'artrite reumatoide, rappresenta la malattia degenerativa più frequente e più grave. Allo stadio iniziale, il dolore interessa la colonna vertebrale, per poi colpire le estremità inferiori, le ginocchia e le spalle. Nei casi più gravi, la patologia può provocare invalidità totale.
L'osteoartrite, più comunemente conosciuta come artrosi, è una malattia che colpisce le articolazioni, da non confondere con l’artrite reumatoide. Provoca il deterioramento della cartilagine articolare, il tessuto che copre le estremità delle ossa in un’articolazione. La cartilagine sana permette il movimento nell’articolazione, evitando che le ossa entrino in attrito tra loro e attutisce l'impatto generato dai movimenti del corpo. Nell’osteoartrite, la cartilagine si usura e si deteriora provocando strofinamento delle ossa, con conseguente dolore, gonfiore e perdita di movimento nell'articolazione.
Le malattie cardiovascolari costituiscono la principale causa di morte nei paesi industrializzati. Le più comuni sono l'infarto del miocardio e l’ictus. Sono causate da una combinazione di molteplici fattori di rischio, ovvero le condizioni che aumentano la probabilità di insorgenza della malattia. Vi sono fattori di rischio non modificabili come l'età, l’ereditarietà e il sesso, mentre altri, come la pressione arteriosa, la colesterolemia, il sovrappeso, il diabete e il fumo di sigaretta si possono controllare per ridurre la possibilità di sviluppare malattie cardiovascolari.
Nell’ambito della prevenzione di queste patologie dedichiamo grande attenzione alla terapia dell’ipertensione. L’ipertensione rappresenta uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare, aumentando sostanzialmente la probabilità di eventi avversi cardio-, cerebro-, e reno-vascolari. L’eventuale associazione con altri fattori di rischio come l’ipercolesterolemia, il fumo, il diabete determina un aumento significativo di tale probabilità. La scelta terapeutica antiipertensiva deve, quindi, basarsi sulla quantificazione del rischio cardiovascolare globale del singolo paziente, determinato in base all’età, al sesso, alla pregressa occorrenza di eventi cardiovascolari e alla presenza di altri fattori di rischio associati.
Il portafoglio Consumer Healthcare comprende numerosi prodotti di marca volti a fornire alle persone una gamma di soluzioni sanitarie e di cura personale che migliorano la loro salute e il loro benessere.
Il portafoglio è composto da prodotti locali Chiesi OTC, diversi da paese a paese, e dal portafoglio NHCO (ad oggi disponibile principalmente in Francia)
Il portafoglio di prodotti OTC, con presenza in Italia, Spagna, Germania, Brasile e Grecia, copre diverse aree come tosse e raffreddore, probiotici, malattie intestinali, perdita di peso, creme, cerotti per il dolore e altri.
NHCO è un'azienda francese di integratori alimentari fondata nel 2008 e acquisita da Chiesi nel 2018. Leader nel mondo della micronutrizione, NHCO si concentra sulla ricerca e lo sviluppo di formule a base di aminoacidi, attraverso una scienza innovativa chiamata AMINOSCIENCE®. La connotazione scientifica NHCO si distingue dal nome ed è un acronimo delle lettere che identificano Azoto, Idrogeno, Carbonio e Ossigeno, gli elementi costitutivi di tutti gli amminoacidi.
AMINOSCIENCE® costituisce lo studio e la comprensione degli amminoacidi e della loro applicazione come integratori alimentari, concentrandosi sulla produzione di complessi brevettati che combinano amminoacidi a piante, vitamine e minerali con l'obiettivo di sviluppare prodotti che forniscano risposte specifiche, potenti e altamente tecniche per gli individui che cercano soluzioni per migliorare la funzione fisiologica del proprio corpo.
NHCO propone un elevato numero di prodotti che spaziano dal segmento salute (es. sonno, menopausa, comfort articolare, multivitaminici) alla salute dermatologica, fino a performance, aminoacidi puri, minerali, salute respiratoria e immunità infantile.